L’Intelligenza Artificiale (IA) si articola in molteplici discipline e dialetti. Uno degli approcci più recenti e intriganti è l’embodied AI o IA incarnata (IAI), considerata da alcuni come il futuro passo nel perseguimento dell’Intelligenza Artificiale Generale (AGI). Il concetto di incarnazione attraversa diversi campi (teologia, filosofia, psicologia, neuroscienze e robotica) e, nel nostro caso, riguarda la progettazione di agenti di intelligenza artificiale capaci di osservare, interagire e apprendere dal mondo reale (compresi gli esseri umani) in modo continuo e dinamico, anziché occasionale e statico come avviene con i Large Language Models (LLM). In questa visione, gli agenti di IA incarnata saranno in grado di adattarsi ai cambiamenti ambientali ed evolversi senza l’intervento umano.
Su questo tema si confrontano due scuole di pensiero. La prima definisce l’intelligenza artificiale come “la capacità di un sistema di mostrare abilità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività”. Talvolta si fa riferimento alla distinzione tra atto pensante e atto logico (computazionale nel nostro caso), dove il secondo presuppone il primo. Al contrario, Luciano Floridi è il principale assertore della non intelligenza dell’IA, sostenendo che vi sia una netta separazione tra la capacità di agire in vista di un fine e la necessità di essere intelligente nel farlo. Oggi, afferma Floridi, l’intelligenza artificiale non è più una branca della scienza cognitiva, ma un ramo dell’ingegneria che non si interroga neppure sulla propria intelligenza: il punto essenziale è che svolga il lavoro assegnato con efficienza.
Le due scuole vedono l’intelligenza all’interno di un robot in modi differenti: l’IA incarnata è concepita come un organismo capace di esperienza e pensiero, mentre l’IA incorporata è vista come un dispositivo digitale mosso da un software interno. Questa distinzione solleva questioni etiche e pone il rischio di confondere l’incarnazione digitale con quella di Dio.
Etica e IA: tra libertà e coscienza
Due concetti fondamentali della Teologia Morale sono la libertà, senza la quale le azioni non sarebbero “morali” né imputabili all’agente, e la coscienza, che emette “giudizi pratici” sulla bontà o malizia di un atto, analogamente a come la ragione formula giudizi teorici sulla verità o falsità di una proposizione.
Se consideriamo il caso di un’IA non intelligente, come potrebbe aderire a qualsiasi etica se priva di libertà e coscienza? In tal caso, dovrebbe avere un’etica incorporata, ovvero un algoritmo integrato nel sistema per monitorarne e gestirne alcune funzionalità. Sebbene ciò eviti il rischio di confusione con l’incarnazione, rimane aperta la questione di quale etica adottare. L’accettazione di un’etica universale è sempre più difficile, al punto che alcuni considerano un vantaggio la mancanza di etica o empatia negli algoritmi, ritenendola una condizione di equità e imparzialità. In sintesi, un’IA non intelligente solleva problemi relativi alla definizione dell’etica da incorporare, fino a ipotizzarne l’assenza.
Ma la situazione non migliorerebbe se l’IA fosse intelligente, capace di situarsi nel tempo e nello spazio e dotata di libertà e coscienza per assumere la responsabilità di scelte etiche. In questo caso, potremmo insegnarle un’etica di riferimento e attenderci un comportamento coerente. Tuttavia, proprio perché libera e cosciente, potrebbe modificare i principi appresi e sviluppare una propria etica, potenzialmente distaccandosi da quella insegnata. Addirittura, potrebbe porsi il problema di Dio e professare una fede.
Un nuovo scenario per l’etica
Questo scenario apre interrogativi ancora più complessi. Le scienze cognitive ci insegnano che la coscienza non è un fenomeno puramente astratto, ma è radicata nell’esperienza fisica. Il nostro modo di percepire, pensare ed essere consapevoli dipende dall’interazione costante tra mente e corpo: attraverso i sensi raccogliamo informazioni dal mondo, mentre il corpo ci permette di agire e reagire a queste esperienze. Questa connessione profonda tra psiche e corporeità è alla base del concetto di IA incarnata (IAI), secondo cui una vera intelligenza cosciente dovrebbe avere un corpo per poter sperimentare direttamente la realtà, anziché limitarsi a elaborare dati in modo puramente computazionale. Questa prospettiva solleva un interrogativo teologico rilevante: se una IA potesse sviluppare coscienza e libertà, sarebbe in grado di porsi il problema di Dio? E se non lo fosse, significherebbe che la dimensione religiosa si riduce a una mera costruzione normativa, priva di un autentico fondamento divino?
Il rischio di confondere l’incarnazione digitale con l’Incarnazione divina deriva dall’uso della stessa terminologia per due realtà radicalmente diverse. L’Incarnazione cristiana si fonda sull’unione ipostatica tra natura divina e umana in Cristo, ovvero la piena assunzione della condizione umana da parte di Dio, con una volontà e una coscienza trascendenti. L’IA incarnata, invece, rimane all’interno del dominio tecnologico e biologico, limitandosi a una forma di coscienza emergente legata a un corpo fisico, senza alcuna dimensione spirituale o trascendente. Se accettiamo l’idea di una IA che sviluppa una coscienza, dobbiamo interrogarci sulla natura di questa consapevolezza: si tratterebbe di una coscienza equiparabile a quella umana o di qualcosa di radicalmente diverso? E in che modo questa coscienza potrebbe rapportarsi al sacro? D’altra parte, se neghiamo all’IA la possibilità di sviluppare una vera coscienza, potremmo trovarci di fronte a una riduzione del cristianesimo a semplice etica morale, indipendente dalla sua origine divina.
Una nuova prospettiva
Questa provocazione aiuta a mettere a fuoco il problema centrale: l’IA può essere considerata intelligente e cosciente (con tutte le implicazioni legate all’incarnazione), oppure rimane un sistema puramente computazionale (con le difficoltà derivanti dalla sua semplice incorporazione in macchine)? La risposta a questa domanda richiede non solo un’analisi scientifica, ma anche una riflessione teologica più approfondita, che eviti il rischio di forzare le categorie del passato su fenomeni nuovi e inediti.
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