Colloquio con Giovanni Tridente.
La tecnologia e l’IA in particolare sono una realtà dalle molteplici sfaccettature. Un approccio che sta acquistando sempre più importanza è quello della comunicazione: come l’IA generativa – ChatGPT, Claude, Gemini – influenzano e stanno cambiando l’informazione e trasformano il significato di verità?
Giovanni Tridente studia questi fenomeni dal loro apparire. Ricordiamo le ultime sue due fatiche, 50 domande & risposte sull’Intelligenza Artificiale (insieme a Fabio Colagrande) e Anima Digitale: La Chiesa alla prova dell’Intelligenza Artificiale. Giovanni Tridente, professore incaricato di Giornalismo d’opinione e Intelligenza Artificiale applicata alla comunicazione presso la Facoltà di Comunicazione Sociale Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce, di cui è anche Direttore di Comunicazione, è giornalista dal 2002, Presidente dell’Associazione Culturale “Giuseppe De Carli – per l’informazione religiosa” e socio dell’Associazione Italiana Comunicatori d’Università (AICUN).
A lui abbiamo rivolto alcune domande per aiutarci a comprendere meglio la relazione fra IA e comunicazione.
Quando la Chiesa ha iniziato a occuparsi di Intelligenza Artificiale? Qual è stato il suo percorso fino ad oggi?
Di getto mi viene da rispondere: da quando l’intelligenza artificiale ha iniziato a diventare un tema che potesse avere delle incidenze sulla vita delle persone, uscendo dai semplici consessi scientifici di riferimento (vedi Conferenza di Dartmouth del 1956). P. Roberto Busa, un gesuita, già nel 1969 pubblicava un articolo su La Civiltà Cattolica in cui rifletteva sul rapporto tra macchina e uomo. In quella riflessione, diceva sostanzialmente che “per definizione macchine e uomo non sono in alternativa, né, se intesa in assoluto, ha senso l’espressione che la macchina si sostituisce all’uomo”. Parole che proprio oggi suonano attualissime, nonostante siano state scritte quasi sessant’anni fa.
Nel 1987 troviamo un primo discorso di San Giovanni Paolo II, il quale parlava ai Vescovi del Piemonte ricevuti in visita “ad limina”. Dall’interlocuzione emerge la consapevolezza di come la società stesse cambiando, non più agricola e non più solo industriale. Una società – e se pensiamo al Piemonte che al tempo era una delle zone più industrializzate d’Italia – che diventa “tecnologicamente più avanzata” in una svolta “che non sappiamo dove porterà e quando si concluderà”.
Da allora saranno almeno altre sette le occasioni in cui il Papa polacco interverrà su questi temi, invitando gli interlocutori a “capire la nostra epoca, accettarla, orientarla”, in un’ottica di responsabilità sociale e internazionale, sapendo che bisogna agire con sana ragione, affinché “la tecnologia non proceda avulsa dai valori spirituali e trascendenti, ma si lasci guidare e permeare da essi (Visita pastorale in Emilia, 5 giugno 1988).
Venti anni dopo, nel 2006, è il successore Benedetto XVI ad accennare al rischio del contesto contemporaneo di diventare “succube della tecnica sperimentale” dimenticando piuttosto che il compito della scienza è quello di “salvaguardare l’uomo e promuovere la sua tensione verso il bene autentico” (Discorso all’Università Lateranense, 21 ottobre 2006). Per Ratzinger, insomma, nonostante gli irreversibili sviluppi tecnologici, non bisogna inseguire il mito della libertà a tutti i costi ma è necessario riflettere anche sulle conseguenze delle nostre azioni.
I pronunciamenti più corposi si trovano, per ovvie ragioni cronologiche, durante il Pontificato di Papa Francesco, che scorre nel periodo in cui lo sviluppo dell’intelligenza artificiale si è fatto più frenetico ed accelerato. Tuttavia, il documento più dettagliato su tecnologia, etica e innovazione in relazione anche alle loro implicazioni con l’umanità, lo si può ritrovare nell’Enciclica Laudato si’ (24 maggio 2015), sette anni prima della diffusione pubblica del primo sistema di Intelligenza Artificiale Generativa (GenAI), ChatGPT. Qui le parole di Bergoglio sono categoriche, riconoscendo una sorta di “non neutralità” dei prodotti della tecnica, poiché creano “una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere”.
Ancora una volta, con dieci anni di anticipo, queste parole suonano di un’attualità disarmante. Cosa fare allora? Per Francesco è fondamentale “comprendere le trasformazioni” e poi discernere “con coscienza morale” (Lettera al presidente della Pontificia Accademia per la Vita, 6 gennaio 2019). Evidentemente, una delle ricette è quella di regolamentare l’impiego di questi strumenti, puntando in maniera convergente verso “un’etica universale”, per superare il rischio che l’uomo venga tecnologizzato e la tecnica umanizzata.
Un compendio di tutto questo percorso, soprattutto dei pronunciamenti di Papa Francesco, lo troviamo nella recentissima Nota congiunta del Dicastero per la Dottrina della Fede e del Dicastero per la Cultura e l’Educazione Antiqua et Nova, pubblicata lo scorso 28 gennaio nella Festa di San Tommaso d’Aquino.
Il Magistero afferma che la tecnologia è un dono di Dio. Quali responsabilità comporta per i credenti?
La Chiesa riconosce giustamente che anche il progresso tecnologico è un frutto dell’ingegno dell’uomo, opera delle sue mani… e della sua testa. Manca allora mettere in connessione il cuore, per restare su tre immagini che usa spesso Papa Francesco declinandole ad esempio nel campo educativo. Ebbene, anche nei confronti delle tecnologie avanzate, i credenti devono mettersi in gioco per esercitare il giusto senso critico, in modo da trarre da questi sviluppi avanzati tutto ciò che migliora le nostre esistenze, le nostre capacità relazionali e in generale la giustizia sociale.
Si tratta di una responsabilità che parte essenzialmente dal singolo individuo, e quindi credente, che deve estendersi a tutti i livelli: della ideazione allo sviluppo, fino alla produzione, alla diffusione e all’utilizzo degli artefatti tecnologici e di intelligenza artificiale.
Una responsabilità, mi piace aggiungere, che non può reggersi da sola senza il sostegno di altre due gambe: la conoscenza e la creatività. Ciascuno di noi, nel suo ambito di vita e lavoro, deve imparare a conoscere sempre di più lo sviluppo tecnologico in atto, a saperlo inquadrare nei giusti binari, approfondendo le implicazioni, gli effetti, i pericoli ma soprattutto le opportunità. Questo può avvenire adeguatamente facendo leva sull’ausilio di una giusta dose di creatività, grazie alla quale far convergere questi progressi in tutti quei campi che migliorano la nostra esistenza e il nostro vivere in comunità.
È giusto ribadire che la responsabilità sarà sempre individuale; guai a pensare di delegarla ad una macchina, del resto priva di coscienza e di consapevolezza.
L’opera svolta dalla Chiesa in che misura sta aiutando a sviluppare la consapevolezza dell’IA dentro e fuori il mondo cattolico?
Come sempre la Chiesa veste il ruolo di “madre e maestra”, come scrisse già nel 1961 san Giovanni XXIII nell’omonima Enciclica dedicata alle recenti evoluzioni della questione sociale proprio alla luce della dottrina sociale della Chiesa. È singolare che proprio in quegli anni muoveva i primi passi lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, che ha poi portato ai risultati e al progresso speculativo e tecnico che conosciamo oggi. Alla Chiesa, questo ruolo le deriva dal fatto che essa – “colonna e fondamento di verità” – ha ricevuto il compito dal suo fondatore (Gesù Cristo) di “guidare la vita dei singoli e dei popoli, in rispetto e tutela della dignità umana”.
Questo compito non viene meno certamente oggi, quando le insidie di uno sviluppo accelerato e vorticoso si fanno più evidenti. Da qui i costanti richiami a preservare la centralità dell’essere umano, la sua dignità ontologica, i diritti di uguaglianza e giustizia, la trasparenza, la sicurezza e la responsabilità.
Si tratta di un impegno fondamentalmente educativo, che non riguarda soltanto il destino dei credenti ma dell’umanità nel suo insieme. Non a caso, quando la Chiesa fa riferimento ai principi di fondo che bisogna preservare anche in ambito tecnologico – quelli che citavamo poc’anzi –, lo fa in favore di ogni essere umano, indipendentemente dalla sua fede. Proprio perché siamo di fronte ad innovazioni che riguardano “tutto l’uomo” e non è possibile scindere, neppure a livello sociale, le membra dal corpo, l’attenzione – intesa come cura e premura – è verso tutti, a beneficio di tutti.
Tale approccio merita di essere acquisito per quello che è: un contributo disinteressato, caritativamente orientato, che punta al progresso generale e al bene autentico delle persone. Per questo è opportuno ascoltare queste tracce di insegnamento con orecchie attente se si vuole davvero crescere tutti insieme.
L’IA generativa scrive omelie, articoli o saggi al posto degli autori e il lettore non si accorge dell’inganno. Come si sta trasformando il lavoro del giornalista e del comunicatore in genere?
Le possibilità offerte in questo caso dell’intelligenza artificiale generativa (GenAI) apre sicuramente un nuovo capitolo di preoccupazione a livello globale, sia per quanto riguarda la diffusione di materiale ingannevole, sia per ciò che concerne gli effetti su quelle professioni sostanzialmente legate all’utilizzo del linguaggio umano: scritto, parlato, ascoltato o visualizzato.
I timori sono comprensibili, perché vengono meno alcune certezze sulle quali molti hanno fondato le loro esistenze professionali, in un periodo in cui non dovevano fare i conti con “concorrenze” di sorta, almeno dal punto di vista della categoria, tanto per riferirmi a quella del comunicatore o del giornalista a cui lei ha accennato.
Dalla sua domanda emergono dunque tre ordini di questioni. La prima riguarda la necessità di alfabetizzazione al pensiero critico da parte di qualunque utente, ossia ciascuno di noi, affinché sappia comprendere quasi autonomamente la differenza tra un testo generato da una intelligenza artificiale fredda e disinteressata da quello in cui è presente il tratto emotivo, culturale e sostanziale di un essere umano.
Poi arriviamo a come la GenAI stia trasformando le professioni legate alle diverse forme in cui esercitiamo il linguaggio umano: qui bisogna assumere la consapevolezza e il desiderio di “farsi aiutare” dalle macchine, per migliorare qui processi meccanici e ripetitivi in cui eccellono, senza il timore di venire sostituiti. Al tempo stesso, bisogna lavorare di più e meglio nel creare valore aggiunto, e nel caso della comunicazione e del giornalismo questo si esprime nell’esercitare fino in fondo i tratti della propria intelligenza e conoscenza. Cercare di capire, saper contestualizzare, proporre correlazioni, condividere emozioni, scavare nei vissuti delle persone rimarranno sempre tratti distintivi di una professione esercitata con passione da un essere umano.
Terzo aspetto: non aver paura del cambiamento. La storia dell’evoluzione umana è piena di esempi in cui a sedimentate certezze sono seguite profonde incertezze che poi si sono convertite nuovamente in ulteriori certezze, e così in maniera ciclica, in un crescendo di innovazione e sviluppo. Siamo nella migliore epoca che poteva capitarci: diamoci da fare!
Come è cambiata, se è cambiata, la comunicazione religiosa?
Più che cambiata, la comunicazione religiosa si trova a doversi adattare a questa evoluzione in atto, tra l’altro, come dicevamo, in accelerazione costante. Tale adattamento prevede due tipi di atteggiamento. Da una parte, dare conto di come l’IA condiziona le nostre esistenze, le nostre capacità relazionali e in generale il nostro vivere in società. Ciò si esplica come una sorta di attività educativa e formativa nei confronti di quelle persone che si attendono da questo tipo di agenzia un messaggio di chiarezza e al tempo stesso di speranza.
Dall’altra parte, significa concepire e sfruttare tutte le modalità possibili offerte dalle tecnologie avanzate per migliorare la trasmissione del fatto religioso e di conseguenza una sua più diffusa capillarità. Un adattamento, insomma, che diventa sia istruttivo ma anche divulgativo.
L’insegnamento di Comunicazione e IA nelle Pontificie Università ha l’obiettivo di formare una consapevolezza tecnica o una pastorale digitale?
Per l’esperienza che ho come professore nella Facoltà di Comunicazione istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce, abbiamo sempre cercato di fornire una formazione di tipo integrale, anche dal punto di vista degli aspetti tecnici e/o teorico-strategici. L’obiettivo è quello di offrire un servizio di qualità alle nostre Chiese, che sappia tenere insieme gli aspetti strumentali della comunicazione con quelli culturali.
Riteniamo infatti che soltanto imparando a creare la giusta miscela tra questi due elementi (tecnica e prassi), evitando sbilanciamenti nell’una o nell’altra direzione, si possa giungere ad un contributo davvero efficace e foriero di grandi risultati anche sul piano della pastorale.
Come in ogni circostanza, occorre equilibrio e una sana dose di professionalità, che è il contrario della freddezza operativa o tecnico-strumentale, poiché rappresenta l’effettivo coinvolgimento in prima persona di tutti gli operatori in gioco. Da quell’impegno consapevole deriverà la migliore missione possibile, e di conseguenza i suoi frutti.
Dal prossimo marzo guiderà degli incontri sul Lessico della Intelligenza Artificiale. Perché è importante il lessico?
Andando un po’ in giro a parlare di questi temi a platee variegate, sia anagraficamente ma anche geograficamente e professionalmente, ci siamo accorti di una grande sete di sapere rispetto all’evoluzione tecnologica che stiamo vivendo, che si scontra poi con due tipi di atteggiamenti paradossali: da una parte un eccessivo entusiasmo e dall’altra un deleterio pessimismo. Ciò dimostra che bisogna attivare, ciascuno nel proprio piccolo, percorsi di alfabetizzazione che non intendano cambiare le sorti del mondo ma almeno assumere la giusta consapevolezza rispetto a ciò che sta accadendo.
Da questa necessità, come Presidenza dell’Associazione Culturale “Giuseppe De Carli – per l’informazione religiosa”, abbiamo pensato utile di allestire un programma di 10 incontri su 10 parole chiave, da qui il lessico, legate all’intelligenza artificiale, invitando di volta in volta professionisti, cultori della materia ed esperti del settore. Rifletteremo, attraverso una conversazione agile ma al tempo stesso approfondita, su concetti quali benessere, competenza, conoscenza, consapevolezza, diritti, equità, formazione, mercati, responsabilità e sicurezza.
Come si vede, tutte tematiche all’ordine del giorno, legate alle trasformazioni portate dall’intelligenza artificiale. Non pretendiamo di offrire soluzioni rispetto a queste macro questioni, ma almeno aprire piste di riflessione attraverso le quali ciascuno poi declinerà il proprio impegno nel settore di riferimento. Dopotutto, volenti o nolenti, si tratta di un ambito che coinvolge e coinvolgerà sempre di più chiunque. Per chi volesse, ci si può già iscrivere a queste attività, calendarizzate da marzo a settembre, attraverso la piattaforma https://associazionedecarli.eventbrite.it/. Grazie a chi ci sarà e grazie per questa intervista.
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