Intelligenza Artificiale Sociale

Pensare l’IA – Recensione “Intelligenza Artificiale Sociale”

L’idea tradizionale di algoritmo lo descrive come un elenco di istruzioni dettagliate, progettate per svolgere un’attività o risolvere un problema specifico. L’esempio classico della ricetta di una torta è emblematico: seguendo i passi, si ottiene il risultato atteso. In questa visione, l’algoritmo è deterministico.

Questa concezione classica è stata sovvertita dall’avvento dell’IA basata sul machine learning. Oggi, l’algoritmo non fornisce più un risultato deterministico, ma – in base ai dati di addestramento e al profilo dell’utente – genera esiti differenziati persino per input identici.

Questa capacità trasformativa ha un impatto sociale profondo: gli algoritmi non si limitano a suggerire contenuti (streaming), notizie (siti d’informazione) o prodotti (e-commerce), ma contribuiscono a plasmare idee, tendenze e percezioni collettive.

La sociologia ha recentemente avviato un ripensamento radicale del ruolo dell’IA, investigando come gli algoritmi apprendano da un mondo sempre più datificato. Tre sociologi italiani hanno esplorato questa rivoluzione da angolature complementari, offrendo nelle loro opere una rilettura del ruolo socioculturale degli algoritmi.

Proponiamo le recensioni di queste tre opere:

Vanni Rinaldi, Intelligenza artificiale sociale. Usare l’intelligenza artificiale per creare beni comuni digitali

Rubbettino Editore, Collana Problemi aperti, 2025, pp. 119, € 14,25 (ebook € 9,99)

In un panorama accademico e divulgativo dominato da visioni apocalittiche o utopistiche dell’intelligenza artificiale, il volume di Vanni Rinaldi rappresenta un contributo significativo per la sociologia della tecnologia, proponendo una prospettiva alternativa e concretamente operativa. Intelligenza artificiale sociale non si limita a decostruire i miti tecno-deterministici che permeano il discorso contemporaneo sull’AI, ma avanza una proposta politica e sociale precisa: trasformare i dati in beni comuni digitali attraverso forme cooperative e mutualistiche di gestione.

Rinaldi parte da una critica radicale al paradigma estrattivo che caratterizza l’attuale ecosistema dell’intelligenza artificiale. Riprendendo implicitamente le analisi di Shoshana Zuboff sul capitalismo della sorveglianza e le riflessioni di Nick Srnicek sulle piattaforme del capitalismo digitale, l’autore denuncia come «i ‘pirati del web’ hanno iniziato ad estrarre enormi quantità di dati grezzi, sperimentando modelli di intelligenza artificiale su giganteschi dataset». Questa critica si inserisce perfettamente nel filone degli studi critici sulla tecnologia che da José van Dijck hanno messo in evidenza come la dataficazione rappresenti una forma di accumulazione primitiva del XXI secolo.

Il concetto di pappagallo stocastico – termine che l’autore utilizza per definire l’intelligenza artificiale generativa – sottolinea come i Large Language Models non possiedano una reale comprensione semantica ma si limitino a ricombinare probabilisticamente sequenze linguistiche. Questa lettura critica si allinea con la tradizione sociologica che ha sempre insistito sul carattere socialmente costruito della tecnologia.

La proposta teorica centrale di Rinaldi ruota attorno al concetto di intelligenza artificiale sociale, che l’autore definisce come un sistema di AI «che rispondano prioritariamente ai bisogni dei cittadini/utenti, la cui proprietà sia democratica e che limitino il profitto individuale, valorizzando il fattore umano e producendo beni comuni digitali». Questa definizione richiama inevitabilmente i contributi di Elinor Ostrom sui commons e la loro governance, ma li trasla nell’era digitale con una consapevolezza delle specificità tecnologiche che manca spesso agli approcci puramente economici.

L’autore propone un modello alternativo basato su quello che definisce mutualismo digitale, fondato sulla condivisione dei dati tra i soggetti dell’economia sociale. Questa prospettiva si inserisce nel dibattito contemporaneo sui data commons che vede protagonisti studiosi come Stefano Rodotà, con la sua teorizzazione dei beni comuni digitali, e Yochai Benkler, con le sue analisi sulla produzione sociale. Rinaldi, tuttavia, non si limita a una teorizzazione astratta, ma propone meccanismi concreti di implementazione.

Uno degli aspetti più innovativi del volume è la presentazione di casi studio già operativi che dimostrano la praticabilità del modello teorico proposto. Il progetto AMPEL di Auser, che «analizza le telefonate del servizio di ascolto Filo d’argento’riuscendo attraverso l’analisi vocale a estrarre segnali predittivi di eventuali cadute in povertà», rappresenta un esempio paradigmatico di come l’AI possa essere utilizzata per finalità sociali senza ricadere nelle logiche estrattive del capitalismo delle piattaforme.

Altrettanto significativo è il caso dell’associazione Vox, che dal 2015 utilizza sistemi di intelligenza artificiale per analizzare «milioni di sms e messaggi social grazie ad un sistema di intelligenza artificiale che estrae attraverso l’analisi delle parole sensibili le dinamiche che riguardano sei gruppi sociali: donne, omosessuali, migranti, persone con disabilità, ebrei e musulmani». Questo esempio illustra come l’AI possa essere utilizzata per finalità di ricerca sociale e prevenzione della discriminazione, ribaltando completamente la logica delle piattaforme commerciali che spesso amplificano i fenomeni di hate speech per massimizzare l’engagement.

Rinaldi dedica particolare attenzione al contesto normativo europeo, evidenziando come la regolamentazione comunitaria offra strumenti per la realizzazione di un’intelligenza artificiale sociale. La proposta delle cooperative di dati – «unica definizione giuridica di un soggetto da parte del legislatore europeo» – rappresenta un tentativo di istituzionalizzare forme alternative di gestione dei dati che superino la dicotomia tra proprietà privata e controllo statale.

Il modello cooperativo proposto da Rinaldi non è solo una soluzione tecnica, ma rappresenta una forma di innovazione istituzionale che potrebbe prefigurare nuovi modelli di governance democratica della tecnologia.

Nonostante i suoi meriti, il volume presenta alcuni limiti che meritano di essere evidenziati. La proposta di Rinaldi, pur essendo concretamente fondata, soffre di una certa sottovalutazione delle resistenze sistemiche che il modello estrattivo delle Big Tech è in grado di opporre. Come hanno evidenziato gli studi di Manuel Castells sulla società dell’informazione e di Christian Fuchs sul capitalismo digitale, la concentrazione oligopolistica nel settore tecnologico rappresenta una sfida strutturale che difficilmente può essere superata attraverso la mera proliferazione di iniziative alternative.

Inoltre, la dimensione scalare rappresenta una questione cruciale non sufficientemente affrontata. Come osservato in alcuni studi, i sistemi di AI necessitano di standardizzazioni e interoperabilità che potrebbero essere difficili da raggiungere in un ecosistema frammentato di cooperative di dati.

Il contributo di Rinaldi si inserisce in un filone di studi che potremmo definire “sociologia critica dell’intelligenza artificiale”, che vede tra i suoi protagonisti anche studiosi come Cathy O’Neil (Weapons of Math Destruction) e Safiya Noble (Algorithms of Oppression). Tuttavia, mentre questi approcci si concentrano principalmente sulla critica decostruttiva, Rinaldi propone un programma costruttivo che merita attenzione.

La proposta dell’autore di «liberare i dati dei server e fare in modo che diventino bene comune al servizio dei cittadini» rappresenta un tentativo di operazionalizzare quella che Antonio Gramsci definirebbe un’egemonia alternativa nel campo tecnologico. Non si tratta solo di opporsi al modello dominante, ma di costruire pratiche alternative che possano dimostrare la praticabilità di un diverso modello di sviluppo tecnologico.

Intelligenza artificiale sociale rappresenta un contributo importante al dibattito contemporaneo sulla governance delle tecnologie digitali. Rinaldi riesce a coniugare rigorosità analitica e concretezza propositiva, offrendo una prospettiva che supera tanto il determinismo tecnologico quanto il pessimismo apocalittico. Il volume si rivela particolarmente utile per chi si occupa di sociologia della tecnologia, policies pubbliche e innovazione sociale.

La forza del libro risiede nella sua capacità di mostrare come l’intelligenza artificiale non sia neutra, ma possa essere orientata verso finalità sociali attraverso forme appropriate di governance democratica. Come scrive l’autore, «Il Terzo settore è seduto su una grande ricchezza» di dati che potrebbero essere valorizzati per il bene comune piuttosto che per il profitto privato.

In un momento in cui il dibattito pubblico sull’AI oscilla tra entusiasmo acritico e panico morale, il contributo di Rinaldi offre strumenti analitici e proposte concrete per immaginare e costruire un futuro tecnologico più democratico e socialmente orientato. Per questo motivo, il volume merita di essere letto non solo da accademici e ricercatori, ma da tutti coloro che sono interessati a comprendere come le tecnologie digitali possano essere messe al servizio della giustizia sociale e del bene comune.

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