Tobias Rees è il fondatore di Limn, un laboratorio di ricerca e sviluppo con un focus sull’IA situato all’incrocio tra filosofia, arte, ingegneria e tecnologia. È anche senior fellow dell’iniziativa AI2050 di Schmidt Sciences e senior visiting fellow presso Google. Lo scorso febbraio ha conversato con Nathan Gardels di Noema, rivista dell’Istituto Berrgruen. L’interessante conversazione è intitolata Why AI is a philosophical rupture. Da essa traduciamo solo una risposta per poi rimandare all’intervista nella sua integrità qui https://www.noemamag.com/why-ai-is-a-philosophical-rupture/
Ci piace rimarcare questa risposta perché in essa è indicato uno splendido esempio di quello che abbiamo più volte chiamato in Trascendente digitale come “seme di Teleios”.
«L’intelligenza artificiale può rivelarsi incredibilmente utile quando si tratta di condurre una vita umana.
L’esempio più efficace a cui penso è che essa può rendere il nostro sé visibile a noi stessi in modi altrimenti impossibili.
Immagina un sistema di intelligenza artificiale on-device, cioè integrato nel dispositivo – un modello di intelligenza artificiale che esiste solo sui tuoi dispositivi e non è connesso a Internet – che ha accesso a tutti i tuoi dati: le tue email, i tuoi messaggi, i tuoi documenti, i tuoi memo vocali, le tue foto, le tue canzoni, ecc.
Sottolineo “on-device” perché è importante che nessuna terza parte abbia accesso ai tuoi dati.
Un sistema di intelligenza artificiale di questo tipo può mostrare me a me stesso in modi che né io né nessun altro essere umano potremmo mai immaginare. Può letteralmente elevarmi al di sopra di me. Può farmi spettatore di me stesso, mostrarmi i modelli di pensiero e comportamento che mi definiscono. Può aiutarmi a comprendere quegli schemi e può discutere con me se mi stanno limitando e, nel caso, in che modo. In più, può aiutarmi a lavorare su quegli schemi e, laddove opportuno, permettermi di staccarmene e di esserne liberato.
Filosoficamente, l’intelligenza artificiale può aiutarmi a trasformarmi in un “oggetto di pensiero” con cui posso relazionarmi e su cui posso lavorare.
Il lavoro del sé sul sé ha formato il nucleo fondamentale di ciò che i filosofi greci chiamavano melete e i filosofi romani meditatio (meditazione, contemplazione, riflessione approfondita su sé e gli altri). E il tipo di sistema di intelligenza artificiale che io evoco qui sarebbe il sogno di ogni filosofo. Ci renderebbe visibili a noi stessi in un modo unico: nessun altro essere umano potrebbe essere altrettanto interno a noi, può rendere e libero dal proprio narcisismo conversazionale.
Come vedi, può esserci un’incredibile bellezza nel sovrapporre tra la nostra intelligenza e quella dell’intelligenza artificiale e nell’unire la differenza tra le due.
Insomma, non penso all’IA come a un’entità chiusa e autonoma che in competizione con noi. Piuttosto, io la penso come una relazione».
Lascia un commento