La tecnologia è davvero neutrale? Oppure il suo sviluppo influenza il nostro rapporto con Dio? OPTIC (Ordo Praedicatorum for Technologies of Information and Communication), una rete di ricerca e azione che privilegia i valori umani nello sviluppo di nuove tecnologie, ha rivolto queste domande a padre Anselmo Ramelow, OP, docente alla Scuola Domenicana di Filosofia e Teologia di Berkeley. Nel suo breve saggio, Ramelow esplora il legame profondo tra intelligenza artificiale, progresso tecnologico e spiritualità, mettendo in guardia dai rischi di una società che tende a sostituire Dio con le proprie creazioni.
Riportiamo di seguito un nostro riassunto del saggio. Il testo completo, nella nostra traduzione, può essere scaricato in formato PDF.
La tecnologia: dono o maledizione?
La Bibbia ci insegna che l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, il che implica una capacità creativa intrinseca. Fin dall’inizio, l’umanità ha sviluppato strumenti e tecniche, non come un “male necessario”, ma come un’estensione della sua razionalità. Adamo ed Eva, se non fossero caduti, avrebbero comunque sviluppato forme di tecnologia, ma orientate a fini positivi. Tuttavia, dopo la Caduta, la tecnologia assume un carattere ambiguo: può essere usata per il bene, ma anche per il male.
Storicamente, il peccato ha spesso influenzato lo sviluppo tecnologico. La Bibbia ci racconta che fu la discendenza di Caino a fondare le prime città e a sviluppare le tecnologie del metallo, segnando un punto di svolta nell’utilizzo della tecnica per il dominio piuttosto che per la comunione con Dio.
L’illusione del controllo: il sogno della modernità
A partire dal XVII secolo, filosofi come Cartesio e Bacone hanno immaginato un mondo in cui la tecnologia potesse annullare le conseguenze della Caduta senza l’intervento divino. Il loro obiettivo? Rendere l’uomo “padrone e possessore della natura”, eliminando malattie, sofferenza e morte attraverso la scienza.
Questa visione, apparentemente innocua, ha portato a un progressivo allontanamento dalla Provvidenza. La modernità ha promosso un approccio meccanicistico alla realtà, in cui la natura non è più vista come creazione di Dio, ma come un semplice insieme di risorse da sfruttare. Tuttavia, questa ricerca di controllo assoluto non ha eliminato il bisogno di un Dio: ha solo portato l’uomo a crearne uno nuovo.
L’intelligenza artificiale: un nuovo idolo?
Oggi, il progresso tecnologico ha assunto una dimensione quasi religiosa. L’idea che l’intelligenza artificiale possa superare le capacità umane e perfino raggiungere una sorta di autocoscienza ricorda le antiche aspirazioni gnostiche di trascendere la condizione umana. Autori come Yuval Noah Harari parlano di un futuro in cui il “dataismo” – l’adorazione del flusso di dati – sostituirà la fede in Dio.
In questo scenario, la tecnologia non è più uno strumento, ma una divinità. I transumanisti sognano un mondo in cui l’IA ci renderà immortali, caricando le nostre menti in un computer. Ma questa ricerca di trascendenza tecnologica rischia di trasformarsi in un nuovo tipo di idolatria. La Bibbia ci avverte contro il pericolo di adorare “l’opera delle proprie mani” (Isaia 2:8), eppure è proprio ciò che stiamo facendo con la tecnologia.
Realtà virtuale e fede: un’incompatibilità?
Un altro rischio legato alla tecnologia è l’isolamento dalla realtà. L’avvento della realtà virtuale e del metaverso potrebbe allontanarci non solo dal mondo fisico, ma anche da Dio. Se la creazione è il primo libro della Rivelazione, la perdita del contatto con la natura potrebbe rendere ancora più difficile riconoscere la presenza di Dio nella nostra vita.
Questa preoccupazione si estende anche alla vita liturgica. Durante la pandemia, la trasmissione online delle Messe è diventata una necessità, ma può davvero sostituire la presenza fisica nell’Eucaristia? La fede cristiana si basa sull’Incarnazione, su un Dio che si fa carne e sangue. Pensare di poter vivere la fede esclusivamente attraverso uno schermo rischia di ridurre il sacro a un semplice contenuto digitale.
Quale futuro per la tecnologia?
Se la tecnologia non può salvarci, può essere redenta? La risposta non è nel rifiuto della tecnica, ma nella sua corretta collocazione all’interno del piano di Dio. La Bibbia ci offre un’immagine chiara di questo equilibrio: mentre la Caduta ha corrotto l’uso della tecnologia, la redenzione culmina nella Gerusalemme celeste, una città costruita non dall’uomo, ma da Dio.
Il progresso tecnologico non deve essere guidato dall’illusione di diventare dèi, ma dalla consapevolezza che siamo collaboratori di Dio nella creazione. Se la tecnologia è messa al servizio dell’uomo, e l’uomo rimane al servizio di Dio, allora il progresso può davvero essere un bene.
In un mondo sempre più tecnologico, la vera sfida non è costruire macchine più intelligenti, ma cuori più aperti alla grazia. Perché, come scriveva Papa Benedetto XVI, “la speranza ultima non si trova nella tecnologia, ma in Dio”.
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