Cercando in archivio alcuni documenti sull’esperienza religiosa nel digitale, mi sono imbattuto nella prolusione di Adriano Pessina al Dies Accademicus del 2023 presso la Facoltà Teologica del Triveneto. Ricordavo di aver segnato dei passaggi critici e, rileggendoli, ho confermato il giudizio di disagio per alcune affermazioni.
Pessina ribadisce alcuni concetti esposti nel libro L’essere altrove (Mimesis, 2023): la tecnologia, che ci ammalia parlandoci e ci convince con risposte puntali, conquista la fiducia dell’uomo che delega all’IA il potere cognitivo. Contrariamente ai prigionieri della caverna di Platone, noi scegliamo di legarci davanti all’immagine dell’Altrove proiettate continuamente sugli schermi digitali. Se l’Altrove è un mondo che posso conoscere pur senza andarci, la nostra corporeità si svuota di valore e l’esperienza assume nuove modalità. È sufficiente connettersi all’infosfera e superare tutte le complicazioni delle sostanze individuali, la fatica dell’esperienza mediata dal corpo e dai sensi. Non c’è esperienza umana senza carne: nessun vivente può abitare uno spazio digitale, conclude Pessina, denunciando la perdita di realismo e umanità.
Questo pensiero è condiviso – a mio avviso: purtroppo – sia nella vulgata sia in molti circoli accademici. Tra le diverse riflessioni che il testo suggerisce, vorrei sceglierne tre: l’ontologia del virtuale, la pretesa rivincita del platonismo e lo strumento cognitivo.
Ontologia del virtuale
Chi nega la dignità alla tecnologia afferma che «la vita vera è altrove», una tesi fondata sul dualismo digitale, cioè la riproposta tecnologica della difficoltà di ricomporre l’unità fra reale materiale e virtuale digitale dopo che se ne era decretata la divisione. L’onlife di Floridi supera questo ostacolo teorizzando una realtà naturale ibridata dalla tecnologia, paragonandola all’acqua salmastra in cui crescono le mangrovie. Non ha senso tentare di individuare l’acqua dolce e quella salta: è salmastra, una nuova acqua in cui vivono la stessa flora e fauna ma con caratteristiche evolute. Così è del fisico e del digitale.
Quindi, l’esperienza mediata dalla tecnologia ha lo stesso valore dell’esperienza nella vita fisica, le persone e le esperienze sono le stesse indipendentemente dalla mediazione usata: un litigio per email è sempre un litigio, un complimento fatto di persona è sempre un complimento. Le conseguenze di queste esperienze si riverberano dal digitale al fisico e viceversa. “Abitare il digitale” è una locuzione fuorviante perché viviamo in un mondo ibrido e comunichiamo e facciamo esperienze mediati da codici (lingua e scrittura), protocolli (educazione e formalità) e tecnologia.
L’altro e l’altrove sono lo stesso altro e altrove sia nel digitale che nel fisico, non c’è ristringimento degli spazi, al contrario si stanno allargando. Entriamo e usciamo dall’esperienza tecnologica senza alcuna soluzione di continuità: iniziamo, continuiamo e terminiamo esperienze usando Whatsapp, email, incontri in presenza mischiandoli fra loro in base alle opportunità e necessità.
L’altro è la persona che conosciamo e l’altrove è il posto dove siamo già stati.
Rivincita del platonismo
Da Baudrillard in poi, tanti hanno gridato alla perdita della corporeità in favore di una vita “spirituale” alimentata dallo schermo. Purtroppo, questa narrazione fallace si sposa con la resistenza al cambiamento e produce atteggiamenti diffidenti
L’Istituto Superiore di Sanità riporta le riflessioni più recenti sul DSM-5 e sull’attuale dibattito sull’IAD: ci si domanda se le persone siano dipendenti da internet o dalle attività in esso realizzate e se usare il termine dipendenza da internet o dipendenza da gioco online o da sesso virtuale. Inoltre, le ricerche evidenziano come le classi sociali meno abbienti e meno acculturate siano a maggior rischio per le minori occasioni e luoghi di socializzazione e attività extra scolastiche tipicamente a pagamento. L’IAD si pone sempre più come manifestazione di un disagio la cui origine è da ricercarsi altrove. L’allarme lanciato periodicamente contro la perdita della dimensione corporea appare perciò eccessiva se non fuori luogo
La tecnologia digitale richiede proprio la corporeità e le sue funzioni. Oltre all’ovvietà del corpo per il sesso virtuale, il gioco virtuale richiede il controllo delle proprie emozioni e la capacità di influenzare quelle dell’altro, il texting si arricchisce sempre più di emoticon per stimolare reazioni affettive o per evitare dolorosi equivoci. Tutte azioni per il corpo!
Credo che il trascendente abbia nemici altrove…
Strumento cognitivo
«Per privare di significato lo Spirito è sufficiente trasformare l’uomo in una generica macchina informazionale». Con largo anticipo sugli eventi della Storia Pessina, insieme ad altri, afferma la diversità ontologica dell’uomo dalla macchina e denuncia i rischi della scomparsa della “carne”, ad esempio, per la teologia dell’Incarnazione. È la carne che da dignità o determina l’ontologia umana? Provocatoriamente potrei pensare a una persona con protesi alle ginocchia, alle anche, alle spalle, portatore di pacemaker, protesi dentaria… quanta percentuale di carne deve rimanere per essere considerato umano e non macchina? Lo Spirito ha difficoltà di inabitazione con l’aumento delle protesi?
Dare la colpa alla tecnologia è la via più facile per giustificarsi ed esonerarsi dalle responsabilità dei fallimenti della teologia e della pastorale. La chiesa fallisce in internet perché fallisce fuori di esso, nell’altrove.
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