Paolo Padrini digitale

Intervista con d. Paolo Padrini

«la tecnologia può contribuire a recuperare la trascendenza smarrita negli affanni del mondo»

Proprio dalla sua presenza su internet prende avvio questa intervista.

Trascendente Digitale: d. Paolo, sei stato un pioniere della comunicazione religiosa sul web. Oggi la tua presenza è molto diversa. Qual è la causa di questo cambiamento?

d. Paolo Padrini: Il digitale è uno degli ambienti che possiamo attraversare nella nostra esistenza. Non bisogna necessariamente abitarli tutti o abitarli per sempre. Pensiamo al lavoro o alla scuola. Per questo la mia presenza si è modificata nel tempo, vivendo tempi e modi differenti. Un cambiamento che non è stato di abbandono, anzi, è stato segnato dall’approfondimento, dalla ricerca di profondità, dalla spinta alla ricerca dell’essenziale, anche nell’uso dello strumento digitale. Non è quindi diversa la mia presenza: semmai è più profonda, più consapevole, più matura.

TD: Vuoi dire che il tuo impegno non è dettato dalla passione tecnologica, ma dalle esigenze contingenti?

dPP: Non posso essere annoverato né tra gli apocalittici né tra i tecno-entusiasti. Mi definisco un realisticamente ottimista. Come battezzato sono invitato a una missione evangelizzatrice che mi spinge a considerare ogni ambiente un luogo dove incontrare i cercatori di senso. La nostra missione di battezzati è aiutare le persone a recuperare la trascendenza smarrita negli affanni del mondo.  La tecnologia offre uno strumento che può aiutare in questa missione.

TD: C’è una grande attenzione alla presenza cristiana nell’ambiente digitale. Il digitale può essere uno strumento per giungere a Dio, per stabilire una relazione con Dio?

dPP: Ogni strumento può condurre a Dio. Mi preoccupo di quelli che pur vivendo in un ambiente che rende possibile l’incontro Dio ne hanno smarrito la via. Il digitale, un dono di Dio come afferma il magistero, è uno strumento per la salvezza e la santità solo se usati secondo la visione di Dio. Sarebbe drammatico se qualcuno dicesse: «lì non c’è Dio».

TD: Questo ci porta a parlare di formazione. Quale dovrebbe essere l’elemento fondativo della formazione per i missionari digitali?

dPP: La tecnologia ha sicuramente un impatto sul nostro modo di essere, pensare e organizzare la società. L’antropologia è una materia importante ma non dobbiamo dimenticare che la nostra è un’antropologia cristica. Il battezzato è un uomo integrale, inabitato dallo Spirito, dovunque va’ porta questa speciale unità. Va bene studiare i cambiamenti positivi e negativi della tecnologia, ma occorre ricordare che il cristiano ha una differenza, ha un “calore interno” unico e quando entra in contatto con gli altri deve essere capace di comunicare questo tepore del cuore. Dovrebbe essere insegnata questa responsabilità.

TD: Imparare ad essere “influencer cattolico”?

dPP: Non mi piace molto questa definizione. Dobbiamo usare i nostri termini anziché svuotarli di significato e diluirli con termini comunemente utilizzati ma che rischierebbero di essere percepiti come un po’ “di moda”. A mio parere il concetto di “influencer” non riesce ad esprimere quello che dovrebbe essere l’essenza della nostra missione. Noi non siamo “influencer”, ma testimoni, evangelizzatori. Siamo ben altro e la nostra visione profonda deve sempre aiutarci a fuggire la tentazione dell’effimero consenso. Soprattutto perché siamo chiamati non a portare nei stessi, ma Gesù Cristo, che è la nostra unica speranza.

TD: Come immagini la presenza del cristiano?

dPP: Noi siamo uomini integrali, portiamo Cristo con noi. Ovunque andiamo. Sbagliano quelli che pensano che la tecnologia costringa a mostrare solo una parte di Sé e perciò le persone coinvolte sono tutte false e costruite. In ogni luogo esponiamo la parte di noi più coerente con l’ambiente: sul lavoro non siamo come in chiesa e in chiesa non siamo come a casa. Eppure siamo sempre noi pur esponendo nell’ambiente solo una parte del Sé. Gli ambienti parzializzano l’esposizione, non il Sé. Siamo “totali” anche nella parzialità così come la divinità di Dio non si è ristretta e depotenziata nell’incarnazione. La parzialità dell’umanità di Gesù, la limitata esposizione nella creatura non ha impedito la manifestazione della totalità di Dio. La tecnologia non penalizza l’uomo se questo non rinnega la sua totalità, anzi, può aiutarlo perché la tecnologia è un dono di Dio.

dPP: Condivido perfettamente l’opinione di padre Antonio Spadaro. Gli strumenti non sono indifferenti o neutri, ma contengono dentro di loro un messaggio, un linguaggio, una “teoria”. Ecco perché il libro liturgico non è sostituibile. Ovviamente non è questa l’unica motivazione, ma secondo me è una delle più solide. C’è poi la tematica relativa alla ritualità insieme ad altre considerazioni. Tutto ciò mi porta a dire comunque che l’atto liturgico, atto complesso e non semplice “lettura di un testo su un supporto”, richiede necessariamente uno strumento rappresentativo del luogo comunicativo e relazionale che si realizza nell’utilizzo di un supporto cartaceo con determinate caratteristiche.

Per la preghiera attraverso il cellulare condivido la preoccupazione di d. Mauro anche se ritengo che così come lo strumento non è neutrale, così possa anche essere in qualche modo modellato. In iBreviary, per tornare all’inizio dell’intervista, abbiamo ad esempio fatto in modo che lo schermo non si spenga durante la preghiera evitando così un primo disturbo. Personalmente poi ho attivato anche una funzione sul telefono che avviando l’applicazione, mi inibisca qualsiasi tipo di notifica. Così facendo in qualche modo ho educato lo strumento, e mi sto anche educando utilizzando alcune specifiche funzioni (l’ho chiamata “modalità preghiera”) per creare prima di entrare nella preghiera un contesto adeguato ad essa che escluda – ovviamente – la distrazione delle notifiche (insieme all’arrivo di telefonate, ecc..).

dPP: Da parte mia comporta una grande responsabilità. Quando utilizzo un qualsiasi strumenti per comunicare mi sento sempre di fronte ad una persona e mi chiedo sempre: «Dio cosa vuole che in quel momento faccia, per vivere l’incontro con quella persona come un incontro attraverso il quale passi la sua Salvezza, la sua Grazia?». Mi rispondo dicendo che prima di tutto Dio vuole che io viva quell’incontro in modo significativo. Poi – in conseguenza a questo – mi chiedo ovviamente come possa crescere sempre più nella conoscenza dei mezzi e nella crescita della mia fede, affinché il povero prete, quale sono, possa essere uno strumento nelle mani del Signore. Anche attraverso i media digitali.

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