Nell’oceano digitale, ogni like nasconde un grido: Háptomai – cerco di toccarti
Se la scrittura parla agli uomini di ogni tempo e cultura, possiamo trovare riferimenti al nostro tempo digitale? In questa seconda parte, viene proposto un esempio di esegesi del digitale.
Ridurre il digitale al fenomeno dei social network anziché riconoscerlo come evento antropologico comporta un duplice rischio: banalizzare la tecnologia a mero veicolo di contenuti e ridurre la “pastorale del digitale” a semplice “pastorale digitale”. L’episodio dell’emorroissa (Mc 5,24-34) offre invece una chiave per ripensare il digitale come spazio relazionale, dove le connessioni nascondono volti concreti e ferite invisibili.
Il Racconto: Tra Folla e Anonimato
Marco dipinge una scena caotica: una folla che synéthliben (si strinse compatta) attorno a Gesù, al punto che Luca la paragona a un soffocamento (synepnígon). In questo groviglio umano, una donna affetta da perdite ematiche da dodici anni – condannata dalla Legge all’impurità perpetua (niddah) e all’emarginazione sociale – si fa strada furtivamente. Il termine mástix (flagello) usato da Marco per la sua malattia rivela una sofferenza che è insieme fisica, sociale e spirituale: ha sperperato risorse con medici inefficaci, vivendo ai margini come un’intoccabile.
Il suo gesto è carico di simbolismo: toccare (háptomai) il mantello (himátion) di Gesù non è un atto magico, ma l’estremo tentativo di stabilire una relazione salvifica. Mentre Giovanni descrive il contatto fisico come psēlapháō (tastare superficialmente), qui il verbo háptomai evoca la guarigione dei lebbrosi, suggerendo un anelito profondo di comunione. La guarigione istantanea avviene nel segreto, ma Gesù interrompe la processione con una domanda destabilizzante: «Chi mi ha toccato?». Una domanda paradossale dall’Onnisciente, che riecheggia il «Dove sei?» ad Adamo. I discepoli, impegnati a proteggere il Maestro dalla calca, non colgono la portata dell’evento.
La Svolta: Dall’Anonimato all’Identità
Quando la donna – «impaurita e tremante» – confessa la verità, avviene la vera svolta: Gesù trasforma la guarigione fisica in salvezza integrale («La tua fede ti ha salvata»). Il suo sguardo (periéblepen) che la cerca tra la folla non è giudizio, ma riconoscimento: come con Zaccheo o Pietro, è un atto d’amore che restituisce identità. Quella che era «l’emorroissa» senza nome diventa «figlia», reinserita nella comunità.
Digitalizzazione come Spazio Antropologico
La trasposizione all’era digitale è stringente: la folla assordante è l’oceano digitale di notifiche, like e commenti che «soffocano» le voci autentiche. I discepoli di oggi rischiano di replicare lo stesso errore: proteggere le istituzioni (account ecclesiali, siti ufficiali) dal “disturbo” degli utenti, senza discernere le grida nascoste. L’anonimato della donna offre rifugio a molti nel web: chi cerca aiuto senza esporsi al bullismo o al giudizio, dopo aver esaurito i canali tradizionali d’ascolto. Il tocco del mantello si traduce in interazioni digitali apparentemente superficiali (un messaggio, un commento) che possono diventare veicoli di grazia quando un destinatario capace dice: «Chi mi ha toccato?». Lo sguardo di Gesù (periéblepen) modella così un nuovo ministero digitale: non mera diffusione di contenuti, ma disponibilità a farsi interrogare, trasformando contatti virtuali in incontri personali.
Il Digitale come Nuova Periferia
I social network incarnano le moderne periferie esistenziali, dove si riproducono dinamiche di emarginazione analoghe all’ostracismo subito dall’emorroissa: chi rifiuta il digitale rischia oggi l’esclusione sociale, come un tempo gli impuri. In questo spazio, il “mantello” biblico assume forme inedite e imprevedibili – uno streaming liturgico, un tweet apparentemente marginale, un post dimenticato – che possono trasformarsi in mediazioni inattese di salvezza, proprio come il himátion divenuto canale di grazia. L’atto teologico decisivo risiede nella domanda «Chi sei?» rivolta all’utente anonimo: è il riconoscimento che ogni interazione digitale nasconde una storia sacra, un volto che attende di essere visto. La sfida per la Chiesa è evitare di ripetere l’errore dei discepoli, preoccupati di proteggere l’istituzione dal “disturbo” della folla anziché discernere, nel caos digitale, i bisogni profondi. Solo abbandonando la logica difensiva per abbracciare una vulnerabilità profetica – lasciarsi «toccare» (háptomai) dalle solitudini digitali – si potrà trasformare il rumore dei social in spazio di salvezza autentica.








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