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TECNOMISTICA

Nel 1971, il teologo e ingegnere italo-americano Norman Faramelli pubblicava Technethics, immettendo nel dibattito culturale contemporaneo il neologismo “tecnoetica”, quale ambito di valutazione morale e politica delle trasformazioni tecnologiche che venivano a profilarsi.

A distanza di più di mezzo secolo, il tempo sarà maturo per accostare alla tecnoetica una tecnomistica? Non nel senso di “esercizio spirituale” che facilita l’unione diretta con Dio, di cui parla, ad esempio, Moshe Idel nel prezioso Tecniche e rituali della mistica ebraica. “Tecnomistica”, piuttosto, intesa come sguardo rivolto all’insieme dei fenomeni tecnologici (“l’apparato tecnico” di Heidegger o “il sistema tecnico” di Ellul) per oltrepassarne la manifestazione empirica e coglierne il senso al livello delle realtà eterne.

Qualche anno fa, su Avvenire, Giuseppe Lorizio auspicava un’Armonia fra tecnica e mistica, prendendo spunto dalla benedizione di un pope kazako al vettore spaziale Sojuz MS-13 e richiamando come modello lo scienziato e mistico Pavel Florenskij. Si potrebbe spingere l’auspicio, oltre la già desiderabilissima armonia, fino a una lettura mistica della tecnologia? Da Severino a Galimberti, da Jonas a Kelly, pressoché tutti i teorici del settore hanno parlato della tecnologia come di un Soggetto Astratto, una Potenza che sovrasta l’essere umano, un Dio Ignoto che spinge l’umanità e l’intera evoluzione lungo rotte oscure. E se il cristianesimo potesse svelare, una volta di più, l’identità di questo moderno Dio Ignoto?

In uno degli storici post del suo blog Cyberteologia, p. Antonio Spadaro, sulla base del motivo ignaziano: “cercare e trovare Dio in tutte le cose”, suggellava: “la tecnologia è un buon posto per cercare e trovare Dio”. E allora, nella tecnologia, possiamo forse trovare misticamente Dio nella forma del Telepoios, così come lo Spirito Santo veniva qualificato da Gregorio di Nazianzio (Orazione 34) e Gregorio di Nissa (Quod non sint tre dii), cioè il Rifinitore, il Perfezionatore, Colui che porta a buon compimento quella creatio continua in cui la meraviglia del presente impallidirà dinanzi a ciò che deve seguire. Una trasformazione che solo la Grazia di Dio può introdurre, un giorno, ma che l’essere umano, con lo sforzo di cui è capace, è nondimeno chiamato ad “affrettare”, come esorta 2Pt 3,12.

È fuori dubbio che la tecnologia, talvolta, o forse spesso, innesca situazioni dagli effetti nefasti, ma quando permette, ad esempio, di avvicinare persone legate da vincoli affettivi impossibilitate a frequentarsi fisicamente; quando consente la collaborazione tra persone dislocate a distanza di continenti in progetti per il bene comune, apportando ciascuno le proprie competenze e, magari, anche gratuitamente; quando riesce a salvare una vita altrimenti compromessa; quando spinge più in là la conoscenza dei confini dell’Universo; quando riesce in questo e molto altro – la tecnologia – non sembra anticipare fotogrammi del regno.

Se simbolo dell’armonia tra tecnica e mistica può appropriatamente essere additato Florenskij, come modello di una mistica della tecnologia potrebbe essere assunto Teilhard de Chardin, che vede nei “phyla tecnologici … il nucleo inventivo della Noosfera” e nella rete di interconnessioni tecnologiche la prefigurazione della “unificazione organica di tutti gli uomini in Dio”, senza ovviamente assorbire il soprannaturale nella natura o ridurre la vita eterna ad un avvenire umano. Sarebbe un peccato, per la teologia, trascurare di attingere a piene mani dal patrimonio del gesuita francese, mentre campeggia come icona pop in ogni vessillo trans- e post-umanista, in copia non proprio conforme.

Benedetto XVI, nella Caritas in Veritate n. 69, suggeriva che la “tecnica non è mai solo tecnica”, richiamando tanto da vicino l’heideggeriano: “l’essenza della tecnica non è niente di tecnico”. Ecco che, d’un tratto, in quell’ulteriorità, si spalanca lo spazio per una tecnomistica.

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