Recensione di Asma Mhalla, Tecnopolitica. Come la tecnologia ci rende soldati, AddEditore, Torino, pp. 276, uscita 21 marzo 2025
Asma Mhalla, specializzata in politica e geopolitica delle tecnologia, racchiude nel termine Tecnopolitica lo studio dei grandi sistemi ideologici e politici partendo dalle scoperte tecnologiche e dai loro effetti.
La tecnopolitica è oggi l’unico approccio disponibile per comprendere oggetti ibridi come le Big Tech e i Big States che si integrano complementandosi. Per Big Tech si intendono le grandi aziende tecnologiche occidentali (Meta, la galassia Musk, Amazon, Alphabet, Microsoft, Apple OpenAi, Palantir, Anduril) e cinesi (Tik Tok, Baidu, Tencent, Xiaomi, Deepseek). Per Big States Mhalla intende gli Stati Uniti e la Cina, le due uniche superpotenze in gioco nell’attuale contesto geopolitico che a colpi di grandi scoperte, i cosiddetti shock tecnologici, si contendono il primato mondiale; sono in sostanza gli Stati forti che aspirano sia alla forza che alla potenza su tutte le altre realtà nazionali o regionali. Il rapporto tra Big Tech e Big States è il cuore del dibattito geopolitico attuale: le Big Tech sono parte attiva nella costruzione del potere dei Big States, sono i bracci armati tecnologici del soft e dell’hard power. Fanno tutto quello che in passato gli Stati forti gestivano con i propri uffici. Oggi le Big Tech assolvono così bene e così velocemente tale compito che nella loro governance finisce per diluire lo stesso concetto di sovranità nazionale. L’opinione pubblica e l’agire quotidiano infatti tendono a essere veicolato più dai social media che dalla legge vera e propria: questo è stato ampiamente documentato dalle analisi delle derive antidemocratiche di X/Twitter, dove si è creato uno spazio pubblico di influenza appannaggio di un’unica idea politica, oppure dallo scandalo dei Cambridge Analytica e della produzione seriale di fake news. La propaganda americana e cinese si nutre di manipolazione tecnologica: gli Stati Uniti per esempio hanno vietato Tik Tok perchè sospettano sia uno strumento di manipolazione mentale al servizio di Pechino, mentre a Mosca si ritiene Facebook un’organizzazione terroristica.
Il progetto che vede nella tecnologia l’asse portante dell’ideologia e quindi della sovranità politica è definito da Mhalla “tecnologia totale” e interpreta i semplici cittadini che utilizzano la tecnologia come soldati della rete asserviti all’ideologia del Big State di turno. Questo fenomeno, non ancora perfettamente compiuto, delinea chiaramente il rischio di un iperpotere antidemocratico nelle mani dei soggetti ibridi delle Big Tech, che rischiano di rovesciare le democrazie occidentali e creare due poli: Stati Uniti e Cina, due tecnopotenze equivalenti, indistinguibili se non attraverso le narrazioni che se ne fanno.
Lo sviluppo tecnologico c’è sempre stato, quello che sembra essere cambiato adesso è l’ipervelocità con cui questo avviene, una corsa al progresso e alla libertà di espressione che, ironia della sorte, finirà per tradire la stessa ideologia liberale che lo aveva fondato.
Mhalla definisce con quattro attributi l’idea di totalità della tecnologia: 1) indivisibile, si è provato a smantellare le Big Tech in società dai campi d’azione più limitati, ma questo purtroppo si è rivelato addirittura più pericoloso da controllare di quanto non lo sia adesso; 2) universale, il progetto Tecnologia Totale vuole essere egemonico, pervadere ogni aspetto dell’esistenza, essere sempre a disposizione e quindi presente. 3) privata: non è di tutti anzi è di pochissimi; 4) sistemica, cioè mette in relazione i vari strumenti formando un corpus tecnico unico e autonomo che si concentra intorno a pochi oligopoli.
Cercando di schematizzare le basi del sistema delle Big Tech, si possono utilizzare tre diverse dimensioni di analisi: 1. la dimensione economica: le Big Tech fanno soldi senza colpo ferire con il semplice traffico dei dati; 2. la dimensione squisitamente tecnologica: fanno incetta di utenti attraverso i sistemi di moderazione algoritmica; 3. la dimensione ideologica che è la diretta conseguenza delle due precedenti: organizzare economicamente e tecnologicamente finisce per creare un’opinione pubblica. Gratuità, microtargeting e viralità: il passo verso la strumentalizzazione politica a questo punto è inevitabile. Diretta conseguenza di queste dimensioni è il dato secondo cui le prime cinque Big Tech occidentali hanno una capitalizzazione economica superiore a qualsiasi Stato del mondo, eccettuati Usa e Cina. Oggi sono gli stessi Amazon, Meta e Alphabet a produrre i cavi sottomarini che collegano il mondo, mentre Musk è più all’avanguardia della Nasa nelle comunicazioni satellitari. Le Big Tech stanno connettendo il mondo in una corsa che la politica non riesce a seguire. Ufficiosamente la posta in gioco è mettere le mani sui dati mondiali prendendo il controllo delle rotte materiali e immateriali del cyberspazio.
Tra tutte le Big Tech il sistema Musk merita un approfondimento particolare perchè, amato o odiato che sia, è il simbolo della riconfigurazione strutturale del potere. Musk è una sorta di anarchico di destra, un Joker che sfida e deride le autorità, non rispetta la Sec (Consob americana) e ha una visione flessibile del mondo. Nelle operazioni finanziarie riempie il web di dichiarazioni, smentite, fake news (vedi il modo con cui ha acquistato Twitter). Destabilizza i mercati con comunicazioni improvvise e crea shock economici. Infine si pone all’opinione pubblica non come un imprenditore o uno scienziato, ma come un guru che vuole essere acclamato più che apprezzato. Dal punto di vista finanziario Musk ha bisogno del liberismo più sfrenato per poter fare affari ovunque e rapidamente. Rappresenta l’americanità sfacciata dei primi coloni e grazie ai suoi social ne celebra il mito in diretta.
Tra tutte le derivazioni della Tecnologia Totale, Mhalla dedica un capitolo specifico al tema dell’Intelligenza Artificiale (Ai). L’Ai innanzituttonon è un orizzonte futuro, è già qui e lo è da oltre trent’anni. A nulla serve approcciarsi al tema con fantasie assurde tipo: creerà disoccupazione, spazzerà via lo Stato sociale o renderà schiavi gli esseri umani. No, dietro l’Ai ci sono esseri umani a prendere decisioni e, se ben orientata, rappresenta una promessa. Ad esempio potrebbe essere forse l’unica realtà capace di risolvere davvero i problemi della sanità, del clima o di molti altri aspetti della vita comune.
Il vero problema è appunto quello dell’orientamento. Aspetti come la polizia predittiva, la giustizia algoritmica, il controllo delle frontiere, il riconoscimento facciale nei luoghi pubblici, ecc. si prestano evidentemente alla manipolazione politica e al progetto di tecnologia totale.
E’ necessaria quindi un’innovazione della politica per definirne gli usi pubblici, anche perchè siamo ormai sulla soglia delle Agi (Intelligenze artificiali generative) che autonomamente e ancora più velocemente di come fatto finora rivoluzioneranno radicalmente la vita di tutti gli esseri umani. Sam Altman (OpenAi) già vede il sistema capitalistico superato e la nascita di un nuovo mondo con un reddito minimo universale fondato sul contratto sociale e l’Ai sarebbe l’infrasistema di questa tecnologia globale. Altman oggi già lavora ad un progetto (WorldID) con cui raccogliere i dati biometrici di ogni essere umano, progetto futuristico con cui intenderebbe estirpare definitivamente il furto d’identità.
E poi, oltre l’Ai c’è la frontiera del transumanesimo e in questo Altman, “siliconiano” puro come il suo miglior nemico Elon Musk, sogna l’eliminazione dell’invecchiamento e della morte. Altman lavora al transumanesimo con Retro Bioscienses inc, Musk con Neuralink e i finanziamenti di Peter Thiel.
Nell’attesa che i futuribili destini di Altman e Musk si compiano è necessario navigare e sopravvivere all’attuale guerra cognitiva che sta minando le democrazie, specie quelle occidentali.
La propaganda, il controllo dell’opinione pubblica e dello spirito di una comunità sono state al centro della storia da sempre anche in epoche quasi prive di teconologia. Per vincere una guerra non basta la volontà delle elites, se dietro non c’è un popolo che la appoggia. Già nella Cina imperiale si teorizzava che la propaganda fossero i pilastri della strategia militare. La Guerra fredda poi è stato un saggio di guerra cognitiva, con modelli di vita che si scontravano ad ogni livello di stato sociale. Le guerre e le questioni odierne non sono da meno: “oggi più che mai non conta vincere o perdere la guerra, quello che conta è quale narrazione vincerà”. L’obiettivo delle guerre cognitive è quello di vincere le guerre senza combatterle e questo è possibile solo se ci si è adeguatamente concentratri sul vero bersaglio da conquistare, cioè le menti dell’opinione pubblica.
Attraverso le guerre cognitive si creano fazioni e pulsioni che fanno vincere le elezioni e fanno insorgere le democrazie in tutto il mondo. Chi analizza le relazioni politiche e ideologiche transnazionali parla sempre più spesso di Internazionale cospirazionista da riconoscere quando ssorgono fenomeni uguali in parti del mondo e in contesti culturali e sociali completamente diversi: basti pensare ai movimenti simil-maga in Romania.
Contro gli attacchi cognitivi che cosa può fare l’informazione moderata, che cerca di verificare le fonti e tutelare un cittadino che oggi non crede più a nessuna istituzione e si sente completamente antisistema? Il problema ha carattere filosofico, giuridico ed esistenziale. Che ne può essere della libertà di espressione se né chi parla né chi ascolta è nella posizione per farlo? Il tema purtroppo è aperto e senza un progetto di Tecnologia Totale privo di secondi fini è difficile da affrontare.
Quell’idea di Stato che nasceva come volontà (o necessità) generale di un gruppo di individui decisi a unirsi per meglio difendersi e prosperare (Weber e tutto il giusnaturalismo), oggi sta perdendo sempre più terreno. Infatti se mettersi insieme un tempo significava cedere un po’ della propria autonomia o libertà a favore del bene generale e quindi rinunciare a un po’ del proprio privato per farlo diventare pubblico, cosa può accadere oggi laddove il pubblico è diventato privato e le Big Tech hanno affiancato e quasi sostituito il pubblico nel nuovo ordinamento?
Urge creare un nuovo patto sociale.








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