Quel linguaggio che unisce tecnologia e teologia

La giustificazione non si confonde, nella grammatica cristiana, con una competenza individuale in grado di determinare la misura o il formato finale della propria opera. È anzi apertura, esposizione radicale e fiduciosa al sorprendente eccesso d’amore che ci viene da Dio.

Eppure, l’atto di “salvare” un documento, un file, per quanto banale possa essere, dialoga con l’urgenza che scopriamo in noi di conservare, di proteggere una certa quantità di parole dalla vorace bocca del nulla, per mantenerle accessibili in un futuro che le faccia rivivere.

La pratica di “convertire” non è un mero clic, del tutto inconsapevole: è anche una necessità etica di stabilire relazioni che siano sufficientemente significative, di vincere l’incomunicabilità grazie a ponti concreti che permettono l’incontro e la decodifica tra mondi vitali distanti e diversi.

“Giustificare” esprime, da parte sua, la passione dell’estetica: il lavoro, sempre incompiuto, di dar forma a ciò che è informe; di riunire i frammenti nell’unità di una narrazione per non sentirci irrimediabilmente sconnessi e perduti; di far vedere l’invisibile nel visibile; il tutto nella parte; il massimo nel minimo.

Entriamo così in un territorio che è tanto problematico quanto affascinante: i due ambiti, quello teologico e quello digitale, si configurano come fortemente distinti e metodologicamente separati. Ma ad avvicinarli c’è, tanto per cominciare, un elemento fondamentale: il linguaggio. E sappiamo bene quanto esso plasmi il nostro modo di abitare e di interpretare la realtà stessa. Per un lato, la riflessione teologica offre un contributo importante: ci sfida a pensare la tecnica da un punto di vista antropologico. E qui è importante capire quanto il web rappresenti effettivamente una svolta nella storia, visto che la tecnica ha cessato di funzionare unicamente come uno strumento per divenire, per la prima volta, un habitat umano.

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8 risposte a “Quel linguaggio che unisce tecnologia e teologia”

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